Ci sono giornate in cui il cronometro smette di essere il protagonista. Giornate in cui la classifica conta, sì, ma solo dopo aver celebrato ciò che davvero si conquista su un tracciato difficile e senza sconti: identità, coraggio, e la consapevolezza che crescere, nello sport come nella vita, significa osare.

Agli Internazionali d’Italia Series, sotto un cielo incerto e tra i profili montuosi che sembrano scolpiti per mettere alla prova i più giovani, gli juniores del CC Appenninico hanno scritto una pagina che sa di futuro e determinazione.

Braccesi, nome che da tempo si sussurra con rispetto tra i tecnici del settore giovanile, ha messo in scena una gara che assomiglia più a un’ascesa interiore che a una semplice prestazione atletica. Partito con prudenza, ha saputo ascoltare il ritmo del proprio corpo e leggere la corsa come si legge una poesia: trovando nel cuore della fatica la propria accelerazione. Il suo sesto posto, in una top 10 d’élite, non è solo un risultato: è una dichiarazione. È come se avesse detto al mondo, senza bisogno di parole, “ci sono anch’io, e non sono qui per caso”.

Accanto a lui, ma con una storia ancora tutta da scrivere, c’era Ceccarelli, junior al primo anno. Il diciannovesimo posto non racconta abbastanza: perché dietro quel numero c’è l’energia acerba di chi ha ancora tutto da scoprire, ma ha già il coraggio di stare tra i grandi. Ogni sorpasso, ogni tratto di salita affrontato con i denti stretti, è stato un mattoncino nel cantiere della sua crescita. E chi conosce il ciclismo sa che le fondamenta si costruiscono così: a fatica, sotto lo sguardo silenzioso della montagna e il boato sincero di un pubblico che sa riconoscere la grinta vera.

Attorno a loro, il fragore delle ruote sullo sterrato si mischiava ai cori, agli incitamenti, ai battiti delle mani che rimbombavano tra i boschi come tamburi di guerra. I tecnici del CC Appenninico, a bordo tracciato, urlavano consigli ma anche emozioni. Gli occhi di chi li ha visti crescere brillavano: non solo per il piazzamento, ma per il modo in cui questi ragazzi stanno imparando a diventare atleti, uomini.

Perché alla fine, come scriveva Gianni Brera, “lo sport è l’unica fatica che diverte”. E se c’è una fatica che forgia, è proprio quella di chi, da giovane, si misura con i limiti e li spinge un metro più in là, consapevole che ogni metro oggi, sarà un chilometro domani.

La classifica dice che Braccesi è tra i migliori d’Italia e Ceccarelli è già lì a bussare alla porta. Ma ciò che resta, oltre i numeri, è una sensazione: quella di aver visto la nascita di qualcosa. Un gruppo che non pedala solo per vincere, ma per crescere insieme. E questo, nel ciclismo e nella vita, è già una grande vittoria.

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