di Filippo Giustini

Benedetta Pilato chiude la sua prima finale olimpica nei 100 metri rana al quarto posto: durante l’intervista ha pianto di commozione e gioia. È curioso leggere i commenti riguardo all’esultanza per essere arrivata quarta, a un soffio dal podio.
Ma forse il problema non sono i commenti ironici, quanto il retaggio culturale di una società in cui si premiano non i risultati, bensì i primi.
Esultare e festeggiare i risultati significa mettercela tutta e riconoscere quello che abbiamo ottenuto, per noi stessi e non necessariamente per gli altri. Il risultato relativo conta, ovvero quello rispetto all’impegno e alle circostanze, e non il risultato assoluto: primo, secondo o terzo, ovvero il podio.
Esultare solo se si vince o si raggiunge il primo posto significa riconoscere il lavoro fatto solo se si verificano una serie di eventi positivi e quindi festeggiare esclusivamente il risultato assoluto – che poi la domanda è: “Assoluto per chi?”
Quando frequentavo l’università, ahimè 20 anni fa, ricordo che ero particolarmente sereno quando affrontavo gli esami. Ma non perché fossi certo di superarli o fossi preparato meglio degli altri. Arrivavo alla prova d’esame sicuro di aver fatto il massimo che in quel momento potevo fare. Fare il massimo non significava necessariamente ottenere un voto alto né tanto meno superare l’esame o essere il migliore dei miei compagni.
Tuttavia, nonostante questo, la sera prima dell’esame, dopo aver studiato tutto il giorno, dormivo sereno. A volte venivo bocciato. Altre volte prendevo 18. Altre 30. Spesso tra 18 e 26.
Durante il periodo universitario capii che le condizioni nelle quali mi sarei dovuto misurare nella vita e nel lavoro sarebbero variate molto velocemente, così come il modo con cui io mi misuravo nelle cose.
Non sono mai stato una persona competitiva, ho percorso la mia strada senza mai misurarmi con nessuno se non con me stesso. E credo che non ci sia cosa più faticosa e dolorosa che misurarsi con sé stessi, scoprire e accettare i propri limiti così come riconoscere le proprie potenzialità. Siamo così tanto concentrati sull’ottenere il riconoscimento da parte degli altri e della società che ci dimentichiamo quanto sia importante attingere alla nostra vera energia, quella che sta dentro di noi.

Quindi, perché non esultare per il quarto posto? Dove sta scritto – e se sta scritto – chi l’ha scritto che bisogna festeggiare solo se arriviamo primi? Ma soprattutto, quali e quanti compromessi dobbiamo accettare per salire su un podio ed essere (per un po’) sotto la luce dei riflettori

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